sabato 30 novembre 2013

10 anni di EdBangers

L' Ed Banger Records è senza dubbio una delle più innovative e importanti labels di musica elettronica del nuovo millennio, nonchè un punto di riferimento essenziale per l'intera cultura dell' Indie Dance. Nasce nel 2003, a MonMatre (uno dei quartieri più vivaci di Parigi) grazie all'iniziativa dell' ex manager del noto e prestigioso duo amercano Daft Punk, Pedro Winter aka Busy P. L'etichetta francese non ebbe immediatamente successo, anzi. Per i primi 4 anni non vi furono incassi rilevanti, nonostante Busy avesse "allestito" un team di producer eccezzionali (anche se all'epoca poco noti) quali SebastiAn, Mr.Oizo, DJ Mehdi, Busy P stesso e in particolare il duo rivelazione che maggiormente rappresenta l'etichetta parigina e lo stile indie dance francese: i Justice.

E fu proprio grazie a loro che l'Ed Banger cominciò a metter piede sullo scenario della musica elettronica mondiale. Il loro album di debutto del 2007 ,"Cross"(la croce è anche il loro simbolo), fu il trampolino di lancio dell'intera casa discografica, che cominciava finalmente a dimostrare concretamente l'originalità e l'immensa creatività dei suoi artisti. Successivamente la label francese andò via via espandendosi grazie ai successi ottenuti dagli album dei Justice ("Audio,Video,Disco" nel 2011 e l'inedito album dal vivo "A cross the universe" del 2008), Mr.Oizo ("Lambs Anger" del 2008), SebastiAn ("Total" del 2011, album contenente oltre una ventina di brani che spaziano dalla varietà del french touch alla ripetitività incalzante della techno) e Breakbot ("By your side" del 2012). Lo stesso Breakbot è il perfetto emblema dell'evoluzione e del continuo rinnovamento a cui la casa discografica si sottopone; infatti l'artista francese in pochi anni divenne uno dei maggiori esponenti della label grazie al suo stile inconfondibile che concilia la cultura pop dello scorso decennio all'essenziale french touch edbangeriano, il tutto condito da pregevoli vocal che rimandano a brani alternative rock e alternative dance molto simili ai brani di Jamiroquai.
Nel complesso la label ha saputo rinnovarsi dal 2003 fino ad oggi grazie sì ai suoi "pupilli", ma anche grazie a un considerevole pubblico di fans sfegatati e letteralmente "innamorati" dell'etichetta francese.
Quest'anno Busy ha potuto festeggiare il decennario  (il 25 Settembre) organizzando due eventi consecutivi riunendo altri suoi colleghi nella città da cui tutto ciò ebbe inizio: Parigi.
Le due serate si sono svolte nella Red Bull Studios e vi hanno partecipato alcuni tra i maggiori producer francesi tra cui Busy P (immancabile), Boston Bun, Feadz e Laurent Garnier. La seconda serata era inoltre oggetto della Boiler Room(per chi non lo sapesse è un tour di eventi in tutto il mondo a cui partecipano disc jockey dei più svariati generi, il tutto è svolto spesso e volentieri in una stanza con l'ingresso limitato a pochi e fortunati "eletti"). Oltre alle due spettacolari serate vissute a suon di indie dance e indie techno, Busy P ha deciso di cristallizzare questo importante momento della carriera "edbangerana" incidendo un disco che rimarrà nella storia dell'indie dance e della musica elettronica: "Ed Rec. Vol X".

Il disco è stato inciso in onore appunto del decennario e vi hanno partecipato tutti i big della label, nessuno escluso.
Cosa ancora si può dire di un'etichetta simile? Al giorno d'oggi l'EDM (Elettronic Dance Music) è vittima dei mass media ed è in mano alle labels con maggior spessore economico; in tal modo si "tagliano le ali" agli artisti più talentuosi, limitandone la creatività e l'inventiva.
Fortunatamente l'elettronica è molto vasta e oggi giorno esistono ancora labels in grado di andare fuori dagli schemi, di sfoggiare la massima creatività e originalità dell'artista,  richiamando  anche elementi della musica passata coniugandola a nuove possibili frontiere della musica contemporanea; non c'è esempio migliore quale l' Ed Banger Records.

domenica 24 novembre 2013

La Casa Dei 1000 Corpi


Premessa n1: l’idea iniziale era di fare un articolo sul dittico casa dei 1000 corpi/casa del diavolo, se non addirittura una monografia su Rob Zombie, ma come mio esordio mi pareva un po’ troppo pretenzioso, quindi ho deciso di optare per una recensione singola, ripromettendomi però di completare al prima possibile l’analisi dell’opera omnia di questo regista.
Premessa n2: gli spoiler sono inevitabili, oltre che funzionali all’analisi, fatevene una ragione.

Siamo nel 2003. L’ex frontman del peculiare gruppo alternative metal White Zombie, tal Robert Bartleh Cummings, in arte Rob Zombie, esordisce alla regia, sfornando una delle migliori sorprese di inizio millennio e andando a porre il primo tassello di una delle più interessanti carriere registiche di genere degli ultimi 15 anni: si sta parlando de La casa dei 1000 corpi (titolo fortunatamente fedele quanto basta all’originale House of 1000 corpses).
Il progetto nacque come remake del celebre Non aprite quella porta di Tobe Hooper ma, per complicazioni varie, si trasformò in un mezzo tributo al film del ’74 e al cinema horror tanto amato da Zombie, senza scordarsi però di quelle sue aggiunte personali (registiche, estetiche e di scrittura) che andranno a formare il suo marchio nel corso della sua carriera.
Inoltre, fu un percorso di produzione difficile. La universal si tirò indietro all’ultimo per paura dell’imposto divieto ai minori di 17 anni (Zombie girò pure due versioni di ciascuna scena splatter, con e senza sangue), quindi il film, potenzialmente finito nel 2000, dovette aspettare altri 3 anni per essere distribuito.
In compenso, costato 7 milioni, ne incassò 17 solo negli Stati Uniti, spianando la strada al sequel e conseguentemente alla carriera da regista di Rob Zombie.
Passiamo al film in sé.
La trama è quasi uguale a Non aprite quella porta: un gruppo di ragazzi, in vacanza nella desolazione delle periferie del sud degli USA, si imbatte in una famiglia di rednecks psicopatici, i Firefly, fino ad una vera e propria caduta negli inferi. Il tutto condito da una salsa cinefila ricca di citazioni e omaggi (come le trasmissioni horror di mezzanotte, vari riferimenti all’occultista Aleister Crowley disseminati per la pellicola e via discorrendo), come già detto prima, al cinema horror exploitation in toto, a partire dagli interpreti: Sid Haig (Blood Bath e un’infinità di piccole parti, come nel Jackie Brown di Tarantino), Bill Moseley (il celebre fratello dell’originale Leatherface), Karen Black (protagonista della Trilogia del terrore), con Sheri Moon Zombie, moglie del regista, in un convincente debutto cinematografico.
Sono in effetti i personaggi a fare la differenza: uno su tutti il fenomenale Capitano Spaulding (nome preso, come quasi tutti i membri maschili della Famiglia, da personaggi dei fratelli Marx), ma anche i ragazzi appassionati di serial killers in cerca delle peggiori efferatezze degli states (forse una sorta di alter-ego del regista nel suo lato più fanboy?), l’attivista politico anarcoide sopra le righe ma sempre convincente Otis Driftwood, la petulante Baby Firefly, l’eccessivo nonno Hugo, fino al memorabile dottor Satana nel suo laboratorio sottoterra.

La regia alterna riprese più tradizionali, con in particolare un buon uso di camera a mano, crane (da notare la lunga scena dell’esecuzione del poliziotto in ginocchio) e un attento dosaggio di slow-motion, a sperimentazioni noise-psichedeliche, giocando anche con il formato del video, che bene si sposano all’idea di estetica “alla Rob Zombie” già intravista nelle sue produzioni musicali.
Una particolare menzione va al montaggio sonoro e alle musiche, firmate da Zombie: fuori di testa come i personaggi stessi.
E il film è questo, nulla più: è un’abitudine di Zombie (vedi la saga di Halloween) focalizzare al secondo capitolo l’approfondimento di tematiche, nel primo vuole divertire e strizzare l’occhio allo spettatore… e ci riesce benissimo! Veniamo trascinati in questa spirale di follia tout court (follia è tutto, dalle torture, allo spettacolo delirante di nonno Hugo, fino alla malata passione hitcockiana per i delitti da parte delle vittime) e non ne riusciamo più ad uscire. Le risate, a volte più spontanee, a volte nervose, non mancano e l’intrattenimento è assicurato.
Non vi preoccupate, ha i suoi momenti forti che forse non scandalizzeranno gli abitués dello splatter ma che di sicuro non lasceranno a bocca asciutta nessuno. Visione consigliatissima!
Voto: 7 e mezzo